Sequestro penale non prevale sul pignoramento immobiliare Tribunale, Sezione Esecuzioni Immobiliari, ordinanza 02/11/2015

//Sequestro penale non prevale sul pignoramento immobiliare Tribunale, Sezione Esecuzioni Immobiliari, ordinanza 02/11/2015

Il sopravvenuto sequestro penale di beni oggetto di una procedura esecutiva individuale pone in luce una serie di problematiche che, stante la carenza di disposizioni normative finalizzate a regolare in via generale il contrasto, costituiscono fonte di studio di dottrina e giurisprudenza.

Essendo velleitario anche solo pensare di affrontare, in poche pagine, ogni problematica relativa all’argomento oggetto di analisi, ci si soffermerà sugli aspetti di maggior rilievo con specifico ed esclusivo riferimento ad un caso concreto.

Il caso

La banca Alfa, creditore ipotecario di Caio, instaurava dinanzi al Tribunale di Sassari, un’azione esecutiva.

Nel corso della procedura, la Procura della Repubblica rendeva noto l’avvenuto sequestro dei beni pignorati; il reato contestato era quello di abuso edilizio.

Il Giudice dell’esecuzione del Tribunale Sassarese, preso atto del sequestro, in un primo momento inibiva il proseguo della procedura esecutiva immobiliare ma, in sede di giudizio di opposizione agli atti esecutivi promosso dal creditore procedente avverso tale provvedimento, accogliendo le difese da quest’ultimo formulate, disponeva la vendita dei beni pignorati, affermando la prevalenza del pignoramento immobiliare rispetto al sequestro preventivo penale trascritto successivamente.

L’individuazione della sorte della procedura esecutiva individuale in presenza di un sequestro preventivo penale dipende, nella sostanza, dall’efficacia inibitoria che si intende attribuire alla misura cautelare penale.

Non essendo riscontrabili nel diritto vigente incompatibilità tra la misura cautelare reale di cui all’art. 321 c.p.p. e il procedimento di esecuzione forzata, nessuna norma contempla, poiché non vi è alcuna necessità, una qualsiasi prevalenza del sequestro preventivo rispetto agli atti di un giudizio di espropriazione.

Per le medesime ragioni, nemmeno sussistono norme che impediscano di proseguire (o promuovere) un’azione esecutiva in presenza di un sequestro penale.

La soluzione non è mutata nemmeno a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia).

Il divieto susseguente al sequestro penale di instaurare o proseguire azioni esecutive, così come contemplato all’art. 55 del citato decreto legislativo, interessando solo ed esclusivamente i beni sui quali sia stata disposta una misura di prevenzione nell’ambito di procedure finalizzate a combattere la criminalità organizzata (di stampo mafioso in particolare), infatti, non può essere esteso, a parere dello scrivente, alla fattispecie in esame.

La dimostrazione di quanto appena affermato è fornita dallo stesso legislatore penale il quale ha avuto premura di delineare con precisione l’ambito applicativo del codice antimafia, non solo intitolando il decreto “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia […]”, ma anche fornendo l’elenco tassativo dei soggetti autori di determinati reati destinatari di tali disposizioni.

Invero, il reato contravvenzionale di lottizzazione abusiva (per il quale è stato disposto il sequestro penale nel caso in esame), come si può verificare agevolmente da un’analisi della disciplina vigente, non solo non risulta espressamente menzionato dall’art. 16 (e dal richiamato art. 4) del D.Lgs. 159/2011, ma nemmeno può essere anche solo lontanamente assimilabile quanto a natura, presupposti e finalità generali a tali fattispecie delittuose.

In conformità ed a suffragio delle considerazioni che precedono, la Giurisprudenza di Cassazione considera l’art. 55 del Cod. Antimafia lex specialis, derogatoria rispetto alla disciplina generale riservata agli altri tipi di reato (Cass. Sez. Un., 7.5.2013 n. 10532).

Tuttavia, le considerazioni sopra esposte assumono differente significato a seguito dell’entrata in vigore del comma 194 della l. 24 dicembre 2012, n. 228 (finanziaria 2013).

La norma in questione, infatti, recita che «a decorrere dall’entrata in vigore della presente legge sui beni confiscati all’esito del procedimento di prevenzione per i quali non si applica la disciplina dettata dal libro I del decreto legislativo 6 settembre 2011 n. 159, non possono essere iniziate o proseguite, a pena di nullità, azioni esecutive».

Prima facie, sembra che la norma abbia determinato un’estensione della disciplina introdotta dal Codice antimafia, con l’articolo 55, ai beni confiscati ai sensi della normativa antecedente allo stesso d.lgs. n. 159 del 2011.

In realtà, come sottolinea la Corte di cassazione (Cass., Sez. un civ., 7 maggio 2013, n. 10532),anche il non detto dice”: l’omesso riferimento ai beni sequestrati, oltre che a quelli confiscati, diversamente da quanto previsto dall’art. 55 del Codice citato, potrebbe essere ragione per ritenere che l’inibitoria delle azioni esecutive riguardi, esclusivamente, i beni confiscati in via definitiva con «la conseguenza che i pignoramenti sul patrimonio sequestrato non possono essere sospesi sino all’eventuale misura ablatoria definitiva».

Alla luce dell’orientamento della Suprema Corte, si osserva che apparentemente chiaro è il dettato del comma 194 dell’art. 1, L. n. 228/2012 il quale, circoscrivendo il divieto di instaurare o proseguire azioni esecutive a quelle aventi ad oggetto solo i beni confiscati”, sembrerebbe escludere inequivocabilmente qualsiasi inibitoria per le procedure mobiliari ed immobiliari pendenti durante la fase del sequestro e fino alla confisca.

Secondo la Corte di Cassazione, infatti, dall’analisi dell’art.1, co. 194, L. n. 228/2012, è possibile dedurre de plano che l’inibitoria delle azioni esecutive riguarda esclusivamente i beni confiscati, con la conseguenza che i pignoramenti sul patrimonio sequestrato non possano essere sospesi e proseguono sino all’eventuale misura ablatoria definitiva (Cass. Sez. Un., 7.5.2013 n. 10532).

Laddove la paralisi delle azioni esecutive a seguito del sequestro non fosse il frutto di un’espressa deroga legislativa (come accade, appunto, per il citato art. 55 del cod. Antimafia) si determinerebbe, sul piano sostanziale, un’aberrante e assolutamente illegittima anticipazione delle conseguenze giuridiche della confisca.

Ebbene, seppure innegabile è che il sequestro sia preordinato alla confisca, equiparare confisca e sequestro tanto da assimilarne gli effetti, oltre ad essere irragionevole ed immotivato, sarebbe in evidente contrasto con il diritto vigente e i principi dell’ordinamento.

Preme, infatti, sottolineare come gli effetti ablatori della confisca si producano tanto in quanto, a monte, vi sia stato un accertamento divenuto definitivo della realizzazione di una fattispecie di reato, essendo la misura di sicurezza, diversamente da quella cautelare, una forma di sanzione.

La conferma delle argomentazioni che precedono giunge ancora una volta dalla Giurisprudenza di Cassazione, secondo la quale, se il legislatore avesse voluto estendere gli effetti della confisca alle fasi del sequestro, avrebbe dovuto farlo espressamente in una legge, così come è avvenuto con riferimento ai beni sequestrati alla mafia, in base al già citato art. 55 del D.lgs. 159/11 (Cassaz. Sez. Un. 7.5.2013 n. 10532).

Una lettura sistematica del comma 194 L. cit. in uno con i commi successivi, unitamente ai principi più volte richiamati e affermati nella stessa sentenza delle Sezioni Unite, conducono parte della dottrina ad assumere una posizione critica nei confronti dell’orientamento sopra analizzato.

Si ritiene, infatti, che l’inibitoria di azioni esecutive di cui al comma 194 non possa che riguardare sia i beni confiscati, in via definitiva e non, che i beni sequestrati nell’ambito di una procedura di prevenzione, con l’unica eccezione di cui al comma 195 della legge n. 228 del 2012.

Se l’interpretazione da dare alla norma fosse quella adottata dalle Sezioni unite, si afferma, le conseguenze non sarebbero di scarsa rilevanza.

Uno dei problemi maggiori, infatti, consisterebbe nel fatto che qualunque creditore che avesse iscritto ipoteca su un bene confiscato potrebbe avviare e coltivare l’azione esecutiva diretta sul bene senza instaurare alcun procedimento incidentale diretto a verificare, oltre che l’anteriorità dell’iscrizione ipotecaria, la buona fede dello stesso creditore, l’affidamento incolpevole, l’assenza di nesso di strumentalità tra il credito e l’attività illecita del debitore-prevenuto, tutti considerati presupposti imprescindibili per la tutela del terzo in consimili casi.

Invero, le preoccupazioni e le perplessità di tale dottrina non appaiono certamente prive di fondamento.

Si immagini il caso potenziale in cui, con la complicità di un terzo compiacente, l’indagato avesse sapientemente simulato l’esistenza di più debiti, e fosse divenuto poi destinatario di uno o più decreti ingiuntivi muniti di clausola esecutiva e di iscrizione di ipoteca sui suoi beni, successivamente assoggettati a sequestro di prevenzione.

L’ipotesi è tutt’altro che peregrina, perché chi ha ragionevole motivo di immaginarsi possibile destinatario di una misura di prevenzione ricorre a escamotage di ogni tipo per preservare il patrimonio.

Sul punto la motivazione della sentenza non lascia margini per interpretazioni alternative. Si tratta di principi che dicono cose risolutive su questioni a lungo dibattute.

Ed allora, bisognerebbe chiedersi quale ragione giustifichi il lasciare aperta quella che pare essere una irragionevole falla nel sistema.

In conclusione, nonostante l’indiscussa autorevolezza rappresentata da una sentenza della Cassazione a Sezioni Unite, la dottrina non appare convinta dalle soluzioni in essa individuate.

Non resta che attendere come nei tribunali saranno interpretate le disposizioni normative analizzate e che posizione assumeranno rispetto all’orientamento della Suprema Corte.

Il provvedimento emesso dal Tribunale di Sassari, indubbiamente, costituisce un primo segnale finalizzato a far chiarezza sulla controversa questione.

Più che di un’interpretazione estensiva del diritto vigente (cfr. art. 1, co. 194 L. cit.) finalizzata ad inserire disposizioni normative laddove, in realtà, disertano, sarebbe auspicabile un intervento legislativo finalizzato ad eliminare in radice la lacuna, magari estendendo (o escludendone l’applicazione) la disciplina vigente in tema di confisca anche al sequestro preventivo penale.